Euro digitale, la prigione perfetta: una moneta o un software di sorveglianza?
Dietro l’efficienza promessa: l’innovazione è il mezzo, il fine è il controllo. La prospettiva di un’economia in cui la proprietà (anche della moneta) non è più un diritto, ma una concessione
di Sandro Scoppa*
La Banca centrale europea ha appena annunciato di voler avviare entro il 2027 la fase sperimentale dell’euro digitale, con l’obiettivo di introdurlo ufficialmente due anni dopo. Nelle intenzioni dei suoi fautori, dovrebbe affiancare il contante e garantire pagamenti più rapidi, sicuri e accessibili. Nella realtà, rappresenta piuttosto il più ambizioso tentativo di trasferire nel dominio digitale quella moneta di Stato che già da tempo ha sottratto spazio all’autonomia economica dei cittadini. L’argomento ufficiale è la modernità; quello sostanziale è il controllo.
In sostanza, con il pretesto di rafforzare la “sovranità monetaria europea” e di offrire una “alternativa strategica ai mezzi di pagamento privati dominati dagli Stati Uniti, come carte di credito e stablecoin”, la BCE intende creare un sistema di pagamento pubblico che sostituisca progressivamente i circuiti privati, sostenendo che ciò ridurrà la dipendenza dalle grandi piattaforme internazionali. È però un’impostazione che capovolge la logica economica: invece di favorire la concorrenza e la pluralità, si concentra il potere in un’unica infrastruttura gestita da un’autorità centrale, capace – tecnicamente – di seguire, registrare e condizionare ogni transazione. L’euro digitale non rappresenta quindi un semplice progresso tecnologico, ma la versione informatica della moneta di Stato, privata di quel residuo di anonimato che il contante ancora garantisce.
Questa deriva non è nuova. Friedrich A. von Hayek, infatti, aveva già mostrato come l’attribuzione del monopolio dell’emissione alle banche centrali avesse generato inflazione, cicli economici e instabilità. La concorrenza tra monete – aveva altresì sostenuto – non distruggerebbe l’ordine economico, ma lo renderebbe più stabile, poiché costringerebbe gli emittenti a garantire fiducia e valore reale. L’esperimento dell’euro digitale rappresenta, in questo senso, il passo opposto: non la libertà di scegliere tra diverse valute, bensì l’imposizione di una sola, onnipresente, capace di penetrare nella sfera più intima dell’individuo.
Carl Menger, un secolo prima, aveva a sua volta spiegato come il denaro non nasca da un decreto politico, ma da un processo spontaneo di mercato. È l’interazione tra individui, non la volontà del sovrano, a trasformare una merce in mezzo di scambio generale. Ogni tentativo di sostituire tale processo con una costruzione artificiale equivale a negare le leggi fondamentali dell’economia. Per il fondatore della Scuola Austriaca di economia, la moneta di Stato rappresenta un errore logico prima ancora che politico: l’autorità può imporre un corso legale, non la fiducia che rende utile il denaro.
Oggi, nel nome dell’innovazione, si tenta di digitalizzare quella stessa imposizione. L’idea di sostituire la fiducia tra individui con la fiducia nello Stato è vecchia quanto la pianificazione economica. E come ogni esperimento dirigista, anche questo nasce con la pretesa di “inclusione” e “sicurezza”. Tuttavia, ogni sistema che si fonda sul controllo totale finisce per ridurre la responsabilità personale, e dunque la libertà. L’utente dell’euro digitale non possederà realmente la sua moneta: la deterrà in un conto virtuale la cui esistenza dipenderà da regole stabilite dall’alto.
Si sostiene pure che l’euro digitale sarà “non programmabile”. Non si considera, però, che già l’ammissione di siffatta clausola mostra quanto sia labile il confine tra garanzia e arbitrio. Un software può essere aggiornato, un algoritmo può essere modificato, un limite d’uso può essere introdotto “per ragioni di sicurezza”. Quando la moneta diventa un codice, chi controlla il codice controlla l’economia.
Anche le banche commerciali sono preoccupate. Temono infatti che la nuova valuta sposti risorse dai depositi privati verso i conti digitali della BCE. È un rischio concreto: se gli individui potranno parcheggiare direttamente il proprio denaro presso la banca centrale, i flussi di risparmio verranno drenati dall’intermediazione tradizionale, riducendo la capacità di credito e soffocando l’iniziativa privata. Il sistema bancario, pur con i suoi limiti, è parte della dinamica concorrenziale del mercato. La centralizzazione monetaria, invece, tende a uniformare e paralizzare.
Quanto ai costi del progetto, si prevede che siano imponenti: oltre un miliardo di euro solo per la fase di sviluppo, a cui si aggiungeranno i miliardi necessari al settore privato per adeguarsi. Denaro pubblico e risorse private vengono così indirizzati verso un obiettivo che non nasce da una domanda spontanea, ma da una decisione politica. Se il mercato avesse davvero bisogno di un euro digitale, lo avrebbe già creato: esistono criptovalute, stablecoin e piattaforme di pagamento che ogni giorno rispondono alle esigenze degli utenti, senza imporre nulla a nessuno.
Così stando le cose, appare evidente che il problema non risiede nella tecnologia, ma nel principio stesso che la ispira. Una cosa è innovare, altro è sostituire la libertà con l’obbedienza. L’euro digitale rischia di diventare una prigione perfetta: trasparente, efficiente, priva di muri visibili, dove tutto è tracciabile e nessuno è davvero libero di decidere come usare il proprio denaro. È la prospettiva di un’economia in cui la proprietà non è più un diritto, ma una concessione.
L’Europa avrebbe potuto scegliere un’altra via: promuovere la concorrenza tra mezzi di pagamento, ridurre l’intervento statale, favorire la creatività delle imprese. Invece, preferisce costruire una moneta che somiglia a un software di sorveglianza, travestito da progresso. L’efficienza senza libertà è solo il preludio dell’arbitrio.
Ogni volta che il potere di creare moneta si concentra nello Stato, la fiducia diventa un’illusione e il valore della ricchezza una variabile politica. Il denaro, invece, nasce dalla libertà dello scambio, non da un ordine imposto. Ecco il vero rischio dell’euro digitale: trasformare uno strumento di cooperazione in un mezzo di controllo, dove non è la libertà a muoversi, ma il comando.
* Su Atlantico Quotidiano

