V per vendetta: libertà contro la tirannia
Ci sono opere che, pur nascendo come intrattenimento, diventano molto di più. V per Vendetta, diretto da James McTeigue e ispirato alla graphic novel di Alan Moore e David Lloyd, racconta un’Inghilterra dominata dal regime Norsefire, un potere che penetra ogni aspetto della vita privata, piegando i cittadini alla paura e al conformismo.
A opporsi a questa tirannia è V, interpretato da Hugo Weaving. Non conosciamo il suo volto né il suo nome: è un sopravvissuto agli esperimenti del campo di prigionia di Larkhill, dove uomini e donne furono ridotti a cavie. Da quell’inferno esce trasformato, deciso a restituire dignità a sé stesso e a un popolo annientato dall’obbedienza. Indossa la maschera di Guy Fawkes, il congiurato che nel 1605 tentò di far saltare in aria il Parlamento inglese. Quella maschera diventa simbolo universale di resistenza: non il volto di un uomo, ma l’idea che la libertà può rinascere anche nell’oscurità.
V non lotta per un partito o per una dottrina, ma per un principio: l’individuo non è suddito, ma sovrano di sé stesso. Non a caso, attraverso l’identità fittizia di William Rookwood, afferma: «I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, sono i governi che dovrebbero avere paura dei popoli». Una frase che riassume il cuore della sua battaglia: rovesciare il rapporto tra autorità e cittadino.
Il cancelliere Sutler incarna invece l’altra faccia: un potere cieco, ossessionato dall’ordine e dalla purezza, che riduce scienza, religione e media a strumenti di propaganda. In questo mondo soffocato, V compie azioni spettacolari e simboliche: fa esplodere il Palazzo di Giustizia, interrompe le trasmissioni di Stato, elimina uno a uno i responsabili di Larkhill. Ma non è mai violenza cieca: ogni gesto è accompagnato da un discorso, da un invito a pensare. Non vuole essere seguito come un capo, ma compreso come una coscienza che risveglia.
La parabola di Evey Hammond mostra il senso più profondo di questa ribellione. All’inizio è una ragazza spaventata, prigioniera della paura. Attraverso l’incontro con V, impara che la libertà non è assenza di vincoli, ma capacità di scegliere anche quando costa caro. Quando rifiuta di tradirlo, pur credendo di andare incontro alla morte, conquista la propria emancipazione. È la dimostrazione che la dignità nasce da una scelta interiore, non da concessioni dall’alto.
Il Parlamento che esplode nel finale non rappresenta distruzione, ma restituzione. V non lascia un nuovo potere, lascia un’idea: che la libertà si fonda sulla responsabilità personale. Non si tratta di attendere un salvatore o di obbedire a un nuovo ordine, ma di riconoscere che ciascuno ha il compito di vivere da uomo libero.
In fondo, V per Vendetta non parla di supereroi, ma di cittadini comuni. È un invito a non delegare la coscienza, a non cedere alla paura, a non accettare l’illusione della sicurezza come giustificazione dell’oppressione. La maschera di V ci ricorda che la forza della libertà non ha bisogno di un volto unico: vive in chiunque decida di restare fedele a sé stesso, anche quando sembra impossibile.
