Il petroliere: la libertà che divora sé stessa
Nel deserto della California di inizio Novecento, un uomo scava la terra per trovare il petrolio. È Daniel Plainview, protagonista de Il petroliere (2007) di Paul Thomas Anderson, interpretato da un monumentale Daniel Day-Lewis. Scava da solo, senza aiuti, spinto soltanto dalla volontà di fare. È il simbolo dell’uomo che costruisce con le proprie mani, che trasforma la fatica in opportunità. La sua è la libertà dell’iniziativa, la forza che crea valore dal nulla.
Ma ogni libertà, se perde la misura, si corrompe. L’ambizione di Plainview, inizialmente motore di progresso, si fa dominio. L’uomo che produce diventa l’uomo che possiede, e il sogno della conquista si trasforma nella paura di perdere ciò che ha ottenuto. La sua impresa è creazione, non parassitismo; ma, passo dopo passo, la volontà di costruire diventa bisogno di sottomettere. È la parabola del potere che nasce dall’individuo e finisce per divorarlo.
Il suo opposto è Eli Sunday, il predicatore che promette redenzione. Ma tra i due non c’è vera differenza: entrambi vogliono controllare gli altri. Uno con il profitto, l’altro con la morale. Anderson li oppone come due forme dello stesso impulso: quello di imporre la propria verità. Il film diventa così una riflessione sulla libertà che si perverte, sulla potenza che, non conoscendo limite, si fa tirannia.
L’impero del petrolio nasce non come mercato, ma come dominio. Quando Plainview uccide il suo rivale, non elimina il male: lo incarna. Il successo, ottenuto senza limiti morali, diventa una gabbia. La villa in cui vive, fredda e vuota, è la prigione dell’uomo che non conosce più la reciprocità. Il deserto, che all’inizio stava fuori, ora è dentro di lui.
Il regista del film non condanna l’intraprendenza, ma la sua degenerazione in idolatria. Il petroliere mostra quanto sia fragile la linea che separa l’individuo libero dal despota: la stessa energia che costruisce può distruggere, se non è temperata dal rispetto per l’altro. La vera libertà non è onnipotenza, ma scelta responsabile.
Girato tra il Texas e la California, con la fotografia di Robert Elswit e la colonna sonora inquieta di Jonny Greenwood, il film ricevette otto nomination agli Oscar e vinse due: miglior attore per Day-Lewis e miglior fotografia. La scena finale, girata nella villa Greystone di Beverly Hills, è un’icona del cinema moderno.
Alla fine, Plainview pronuncia le sue due frasi più celebri: «Ho finito.» e «Io sento la competizione in me… io non voglio che gli altri riescano!». Sono la confessione di chi ha trasformato la libertà in lotta, la creazione in conquista. È la voce di chi non sa più cooperare, perché ha scelto di dominare.
Il petroliere ci ricorda che la vera grandezza non nasce dal potere, ma dal limite; non dal possesso, ma dallo scambio. La libertà autentica non è quella che divora gli altri, ma quella che li riconosce come uguali. E quando questo equilibrio si spezza, anche il deserto del successo diventa un luogo di solitudine assoluta.

