Denaro senza stato: l’utopia realista di Hayek
Quando pensiamo al denaro, lo immaginiamo come qualcosa che nasce e vive grazie allo Stato: banconote stampate da una banca centrale, monete coniate da un’autorità pubblica, regole fissate dai governi. Friedrich A. von Hayek, premio Nobel per l’economia nel 1974, ci invita a rovesciare questo modo di pensare. Nel suo saggio La denazionalizzazione della moneta, pubblicato nel 1976 e poi aggiornato nel 1990, propose un’idea che allora appariva rivoluzionaria: sottrarre ai governi il monopolio della moneta e aprire la strada a più valute in concorrenza tra loro.
Lo scienziato austriaco parte da una constatazione storica: per secoli i governi hanno sfruttato la moneta per i propri fini, finanziando guerre, clientele e spese improduttive. Prima riducendo il metallo prezioso nelle monete, poi emettendo carta oltre ogni prudenza. Il risultato è stato sempre lo stesso: inflazione, instabilità, crisi cicliche. Non a caso osserva che “la storia è in gran parte una storia di inflazioni, e solitamente di inflazioni prodotte dai governi”. La moneta statale, più che un servizio per i cittadini, è stata spesso un’arma di potere.
Da qui la proposta: permettere a banche e istituzioni private di emettere valute, lasciandole libere di competere. Come accade per ogni altro bene, la concorrenza garantirebbe qualità e stabilità. Se un’emittente producesse cattiva moneta, i cittadini la abbandonerebbero; se invece mantenesse il valore, la sua moneta verrebbe premiata. La disciplina non deriverebbe più da leggi arbitrarie, ma dal giudizio quotidiano delle persone.
Nemmeno l’oro, che per secoli è stato il principale baluardo monetario, può rappresentare una soluzione definitiva. Ha avuto un ruolo importante, ma resta manipolabile e vulnerabile alle decisioni politiche. Per Hayek, la vera garanzia è la concorrenza: “una moneta onesta, perché l’emittente avrebbe il massimo interesse a conservarne il valore”. La selezione spontanea porterebbe a poche valute solide, scelte liberamente dal pubblico, senza bisogno di imporre un unico standard dall’alto.
Negli anni Settanta l’idea fu bollata come utopica e irrealizzabile. A fronte di ciò, il pensatore della Scuola austriaca ha rilevato che il compito dell’economista non è piegarsi al presente, bensì rendere possibile ciò che oggi appare impossibile. E se allora sembrava fantascienza, oggi il quadro è diverso. L’era delle criptovalute ha dimostrato che nuove forme di moneta possono nascere al di fuori dello Stato. Con limiti e contraddizioni, certo, ma con la forza di un esperimento che conferma la sua intuizione: la moneta non è diversa dagli altri beni, e può essere sottoposta alla prova del mercato.
Denaro senza Stato non significa anarchia, ma regole chiare, responsabilità degli emittenti e libertà di scelta per i cittadini. La moneta migliore è quella che serve meglio chi la usa. Ed è arrivato il momento di rimettere questa domanda al centro del dibattito — vogliamo davvero continuare a consegnare ai governi il monopolio del denaro? Oppure siamo pronti, una volta per tutte, a immaginare un futuro in cui anche la moneta risponda alle regole della libertà, non è così?

